LA SCOZIA HA PREFERITO LONDRA A BRUXELLES

 

Forse non ci si rende conto di quello che è successo in Scozia. Un popolo che ha agognato l’indipendenza per tanti secoli, alla fine, lottando con le unghie e coi denti per conservare la propria cultura, nella speranza di riconquistare il suo posto al sole, posto di fronte a una libera scelta, vota no.  Invito allora a una riflessione maggiore sulle mutate condizioni del rapporto fra stati storici consolidati e aspiranti nazioni regionali. In Scozia ha prevalso il no con il 54%, non è poco e non è nemmeno sperabile che possa esserci una vittoria dei sì qualora il referendum dovesse ripetersi fra 5 o 10 anni.   Si può presumere che la Catalogna darebbe un risultato analogo, magari con una distanza fra sì e no  più ridotta. 
La  Scozia, la più europeista e la meno liberista delle regioni britanniche, ha nettamente preferito la vecchia Inghilterra euroscettica alle preoccupanti incertezze dell’Unione Europea. Non si è fidata troppo di uno slogan come “Per l’Europa dei popoli”. Proprio la Scozia. Meglio una mini unione con Londra che una maxi con l’aquila tedesca trionfante. Ecco perché l’Ue, al di là delle dichiarazioni ipocrite, ha poco da esultare per il risultato di Edimburgo, di fatto sperava in un indebolimento di Londra, la secessione della Scozia avrebbe comportato un forte scossone alla credibilità del principale dei paesi euroscettici. Nessuno ha dato importanza allo scottish pound, che esiste da anni, sembrava che gli scozzesi non vedessero l’ora di adottare il bellissimo euro. 
 I catalani indipendentisti potranno vincere solo se prevarrà nell’elettorato netta la  convinzione che sia opportuno uscire quantomeno dall’Euro, cosa che Rajoy e nemmeno i socialisti iberici riescono anche solo lontanamente a pensare. Ma sono pronti, i catalani nel loro insieme, a una scelta del genere? Sicuramente no, o non ancora.
Tenuto conto delle notevoli autonomie concesse alle minoranze, di fronte alle pesanti incertezze dell’Ue, alla pessima prova in campo politico-economico, di fronte allo squallore della classe dirigente europea, dalla Spagna al Regno unito, passando per l’Italia, non resta che rimanere dove si è.
Per citare Marco Bussoletti: “Gli studiosi che sostengono che parlare di Europa unita in questo periodo storico fa ridere e gli agglomerati di stati si siano pressoché tutti rivelati dittature governate da lobby finanziarie e politiche, mi trovano abbastanza d’accordo”.  Figuriamoci gli agglomerati di stati regionali, in simili condizioni. 
Articolo di Roberto Schena




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