Dino Grandi un eroe, Mussolini e Hitler due macchiette, un re imbecille, Ciano un dandy, Edda Mussolini e la Petacci due femmine procaci e avanti così: “La lunga notte”, fiction a puntate trasmessa da Rai1 a gennaio 2024, dipinge caratteri improbabili e sdrammatizza il regime
La foto di apertura di questo articolo può essere considerta simbolica: Dino Grandi (interpretato da Alessio Boni nella fiction Rai sulla caduta del fascismo) con un gruppo di alti gerarchi mentre scende le scale del potere che tanto baldanzosamente occupò per vent’anni. Più che altro, la serie “La lunga notte – La caduta del Duce”, trasmessa da Rai1 a gennaio, è dedicata alla figura del gerarca col pizzetto sotto il mento, al vero e proprio complotto da lui organizzato col re per far cadere Mussolini, come poi avvenne. Dalla sceneggiatura ne esce un po’ un eroe, nonostante il passato da picchietore e i camerati lo considerino un traditore. E non solo lui, anche Ciano. Mussolini è quasi una macchietta, un isterico che urla sempre, sembra Hitler, e anche quest’ultimo è ancora più ridicolizzato. Ora, nell’attenersi un minino alla realtà, queste cose che fanno bene alla sceneggiatura e all’audience, trattandosi di argomenti storici importanti, si dovrebbero evitare. Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca: o fai fiction o fai storia.
Ma il regime meloniano, che con la cultura e il rispetto dei fatti storici non c’azzecca per niente, questo e altro autorizza, purché non si prenda troppo sul serio la figura del Duce. Insomma, abbiamo capito l’antifona: il mostro non è così brutto.
Nelle varie puntate non emergono leggi razziali e soprattutto le crisi di coscienza, che invece ci furono eccome fra gli stessi fascistoni dei vertici, peccato per il produttore Barbareschi non averci pensato a metterle in risalto, avrebbe fatto un favore alla lettura revisionista che si propone qui della caduta del Duce. Chiamata proprio così, del Duce, non del Fascismo.
Lottatori in bronzo di Aroldo Bellini, arte fascista del genere omofilo
Grandi cercò di salvare il fascismo e i gerarchi stessi sacrificando Mussolini e mettendo insieme le personalità più moderate, senza capire che sia il regime, sia l’ideologia, erano finiti, ormai morti anche se non ancora sepolti. Cosa che il re, la cui vista era più lunga, capì benissimo: non era più né salvabile, né auspicabile che lo fosse, le tanto vituperate democrazie “plutomassoniche” avevano vinto così bene che non era neppure ipotizzabile andare a trattare la pace. La strategia di Grandi, Bottai e Ciano era fallimentare in ogni caso. E questo il film non riesce a spiegarlo, anzi, dà credito al personaggio Dino Grandi più che a tutti gli altri.
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